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muoniguido

Alcune considerazioni riguardo alla fiducia



Come ogni opposto complementare anche la fiducia non può essere compresa appieno senza il suo contraltare (in questo caso la sfiducia).

Vale così anche per altri tipi di esperienza come, ad esempio, il coraggio, l’amore e la sicurezza.

Per inciso, ritengo opportuno sottolineare che, al di là di quelli che intuitivamente potrebbero apparire come gli evidenti opposti di ciascun polo esperienziale preso in considerazione, potrebbe essere sorprendente scoprire che ciascuno di noi, per ogni polo considerato, ha un suo personale opposto da mettere in relazione al primo: un personale contraltare fatto di sfumature, emozioni e vissuti personali che costituiscono il suo modo soggettivo di vivere quel particolare tipo di esperienza.

Alle volte, poi, si è portati a ritenere che una relazione sia buona soltanto se in essa compaiono solo alcuni poli esperienziali ma non altri.

E così, ad esempio, si potrebbe pensare che una relazione sia fondata sulla fiducia soltanto se in essa non si sperimenta mai la sfiducia.

Questo tipo di considerazioni potrebbero essere fatte riguardo ad ogni tipo di relazione: quella terapeutica, quella genitoriale, quella amicale, quella di coppia, ecc.

A tal proposito, voglio sottolineare tre aspetti.

Primo: il fatto che all’interno di una relazione non si esprima esplicitamente un vissuto di sfiducia ciò non significa che tale vissuto non sia presente.

Secondo: il vissuto non espresso racchiude in sé un bisogno; quest’ultimo, qualora rimanga inascoltato o non esplicitato nel campo relazionale, ha buone probabilità di rimanere tale, cioè un bisogno insoddisfatto (con tutte le conseguenze del caso).

Terzo: il bravo terapeuta o il bravo genitore, o il bravo amico (e così via) non è quello che non sbaglia mai. Sbagliare è qui inteso nel senso di non perdere mai la connessione relazionale con il proprio paziente, il proprio figlio o il proprio amico. Nel concreto ciò potrebbe essere associato a qualcosa del tipo: non me ne sono accorto, non l’ho capito, non l’ho visto, ecc. (con il conseguente vissuto di sfiducia da parte dell’altro). Il buon terapeuta, il buon genitore, ill buon amico - dicevo - è quello che se ne accorge, è quello che, rendendosi conto che c’è stata una perdita nella connessione relazionale, provvede a rinnovarla, è quello che s’impegna a ricostituire quel ritmo condiviso che era stato smarrito.

Rispetto a quest’ultimo punto, mi preme precisare che in una prospettiva di campo (quale è quella della Psicoterapia della Gestalt) questo tipo di dinamiche non sono considerate di pertinenza esclusiva o del terapeuta o del paziente (o del genitore o del figlio, e così via): esse sono invece considerate come proprie di quello specifico campo relazionale (che, nella sua interezza, è costituito contemporaneamente sia dal terapeuta che dal paziente).

Quel campo relazionale - dicevo - può essere un campo caratterizzato da una fiducia di base perché entrambi i membri della relazione hanno potuto e saputo sperimentare insieme sia la fiducia sia la sfiducia (avendo riconosciuto e dato spazio anche a quest’ultima nei momenti in cui, nei differenti qui e ora del loro essere insieme, essa si è presentata).

Per concludere, l’esperienza della fiducia di base può forse essere espressa in questi termini: so che se anche ci sono momenti in cui ci allontaniamo un po', ci sappiamo sempre ritrovare, e lo facciamo, lo facciamo ogni volta. Per questo mi fido: lo so, lo sento, ho imparato che posso farlo.


Pubblicato il 05/04/2022 - Photo by Razvan Narcis Ticu on Unsplash

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