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Breve introduzione alla Psicoterapia della Gestalt (Parte III)

Aggiornamento: 14 ott



Parte III


Come anticipato, vediamo adesso, per ciascuna delle capacità del sé precedentemente descritte, quale sia la relazione con il vissuto psico-fisiologico dell’ansia.

Vedremo in seguito in che modo ogni specifico reindirizzamento dell’energia sia da intendere come un adattamento creativo dell’organismo (almeno in origine) rivolto a contenere o eliminare lo stato ansioso conseguente al blocco dell’eccitazione.


Confluenza

Quando un bisogno inizia a farsi presente, cioè quando una figura inizia a emergere dallo sfondo, per quanto vaga e indefinita essa possa essere all’inizio (può accadere, ad esempio, di notare una semplice sensazione corporea o il tornare alla memoria di un episodio del proprio passato), in questi casi può accadere - dicevo - che tutto ciò produca nell’individuo uno stato ansioso, alle volte anche particolarmente severo.

In queste situazioni il tipo di ansia sperimentata riguarda la differenziazione, l’individuazione, il diventare se stessi, cioè un Io distinto dal proprio ambiente.

Si tenga presente che mentre la confluenza - lo abbiamo detto - rappresenta l’assenza di confini e la capacità di fondersi con l’ambiente, l’emergere di una figura - al contrario - rappresenta l’uscita dallo stato di indifferenziazione.

In sostanza (e qui sta il punto): all’emergere dell’una (la figura) si determina la perdita dell’altra (la confluenza).

Non consentire alla figura di emergere è un modo per mantenere lo stato di confluenza evitando così (nei casi in cui l’individuo sperimenti la mancanza di sostegno di cui si è detto) l’ansia che accompagna la differenziazione.

Mette conto sottolineare che la formazione di una gestalt, cioè l’emergere di una figura su uno sfondo, segna il passaggio dall’esperienza fisiologica a quella psicologica: questo è il momento in cui si genera un’emozione e l’individuo diviene consapevole del proprio bisogno.

Tutto ciò è di estrema importanza.

Ne consegue che il perdurare nella confluenza se, da un lato, riduce lo stato ansioso, dall’altro, ostacola il passaggio dall’esperienza fisiologica a quella psicologica.

Tale effetto, ottenuto attraverso il blocco l’eccitazione, nel lungo periodo fa sì che la stessa eccitazione (non potendo più orientarsi in direzione del contatto con l’ambiente) si fissi nel corpo, con la possibilità di dar luogo a ipocondria o a disturbi di tipo psicosomatico.


Introiezione

Se il processo di formazione della figura non è stato interrotto tramite un permanere nella confluenza, l’individuo ha modo di riconoscere quali sono i propri bisogni e i propri desideri, dando avvio, in questo modo, a tutti i successivi processi di identificazione e di alienazione necessari al processo di contatto. Tutto ciò rende possibile in seguito il concretizzarsi di un’azione adeguata.

Qualora si verifichino le occorrenze evidenziate da Laura Perls, tale processo di acquisizione di consapevolezza può però rivelarsi altamente ansiogeno.

In questi casi, allora, l’introiezione agisce come adattamento creativo portando l’individuo a sostituire i propri bisogni con quelli dell’ambiente.

Quando questo accade - evidenzia Robine - “L’affetto […] viene ritirato prima di essere riconosciuto e quindi sentito. L’introiezione così formata non può mai diventare assimilazione”(1).


Proiezione

Qualora i processi di identificazione e alienazione abbiano avuto inizio, la figura (ossia l’elemento catalizzante l’attenzione del soggetto) si sposta dall’interno dell’individuo verso l’ambiente esterno.

Questo spostamento dell’eccitazione verso l’esterno può essere anch’esso fonte di importanti vissuti ansiosi.

In questi casi la proiezione interviene come adattamento creativo al fine di contenere o eliminare l’ansia venutasi a creare in questo passaggio.


Retroflessione

La conclusione dei processi di identificazione e di alienazione orientano l’azione dell’individuo in maniera ben definita.

Nel suo andare verso l’ambiente per concretizzare una specifica azione, in assenza del sostegno necessario, l’individuo può però sperimentare ansia e perfino terrore.

Quando questo accade l‘azione “originariamente diretta verso il mondo […], cambia direzione e ritorna indietro su chi l’ha generata”(2).

In questa fase del processo di contatto la retroflessione rappresenta la modalità con la quale è possibile contattare l’ambiente evitando l’insorgere dell’ansia prodotta dall’aggredire(3).


Egotismo

Perché il contatto possa realizzarsi nella sua pienezza, è necessario che l’individuo si lasci andare completamente all’esperienza in corso.

In assenza di sostegno ambientale o di autosostegno (o qualora questi siano insufficienti) per alcuni individui diventa molto difficile lasciarsi andare, l’ansia prende il sopravvento.

In questi casi l’egotismo agisce (almeno all’inizio) come una forma di adattamento creativo.

Le parole di Robine ben descrivono la situazione appena indicata.

“L’ansia del confronto con il lasciare andare, l’ansia dell’aprirsi all’altro, l’ansia di essere fagocitati dal noi dell’incontro, o l’ansia di essere in seguito abbandonati, conduce questi soggetti a tagliarsi fuori dal contesto, riducendolo a un bagaglio di conoscenze che possono essere utilizzate per incrementare l’esercizio di potere e controllo”(4).

Come si può notare, mettere da parte le emozioni e le sensazioni, circoscrivendo così l’esperienza nel suo livello cognitivo, è la modalità che qui viene utilizzata per far fronte al disagio prodotto dallo stato ansioso.


Facendo un po’ il sunto di quanto fin qui esposto, e ricordando che ogni esperienza si realizza al confine di contatto fra l’organismo e l’ambiente, ritengo utile sottolineare quanto segue.


Se i confini sono troppo deboli, l’organismo sarà invaso dall’ambiente e, a seguito di ciò, finirà per non riconoscere più i propri bisogni (perché li confonderà con quelli dell’ambiente). Così facendo, l’individuo si troverà a “perseguire” i bisogni ambientali dimenticando i propri. Ciò gli impedirà di riconoscere quella novità assimilabile in grado di potergli donare la crescita e l’assimilazione proprie di ogni autentico contatto.


Se i confini sono troppo rigidi, l’organismo si chiuderà all’esperienza, precludendosi con ciò, anche in questo caso, la possibilità di incontrare quella novità assimilabile connaturata ad ogni vera esperienza.


Come si può notare, nella prospettiva della Gestalt, la salute, il benessere e la possibilità di vivere esperienze nutrienti sono indissolubilmente legate al concetto di flessibilità: solo quando il confine è flessibile si può cogliere, in ogni qui e ora, la novità in grado di offrire vitalità e accrescimento.


Quanto appena esposto (in qualche modo) vale anche a proposito dell’ansia, nel senso che non sono le modalità con cui essa è gestita a rappresentare in se stesse il problema.

Tali modalità diventano problematiche (e con ciò ulteriore fonte di sofferenza) solo quando si irrigidiscono e si attivano in maniera automatica, limitando con ciò l’individuo nella sua libertà d’azione.


(Continua)




Note


  1. Robine J. M., L’ansia nella situazione: disturbi nella formazione della Gestalt, in Francesetti G., Gecele M., Roubal J. (a cura di), La psicoterapia della Gestalt nella pratica clinica. Dalla psicopatologia all'estetica del contatto, formato Kindle posizione 10740 di 17589

  2. Perls F., L’Io, la fame, l’aggressività, Franco Angeli, Milano, 1995, cit. in Robine J. M., L’ansia nella situazione: disturbi nella formazione della Gestalt, in Francesetti G., Gecele M., Roubal J. (a cura di), La psicoterapia della Gestalt nella pratica clinica. Dalla psicopatologia all'estetica del contatto, formato Kindle posizione 10815 di 17589

  3. Qui il termine è inteso nel senso precedentemente indicato.

  4. Robine J. M., L’ansia nella situazione: disturbi nella formazione della Gestalt, in Francesetti G., Gecele M., Roubal J. (a cura di), La psicoterapia della Gestalt nella pratica clinica. Dalla psicopatologia all'estetica del contatto, formato Kindle posizione 10873 di 17589

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