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muoniguido

Brevi note sulla Teoria Polivagale: perché abbiamo bisogno della vicinanza degli altri?



Un imperativo biologico muove le nostre esistenze.

Con l’obiettivo di assicurarci una condizione di sicurezza esso ci spinge a connetterci e a co-regolarci gli uni con gli altri.

Così scrive Stephen Porges, il padre della Teoria polivagale, sottolineando che l’aspetto fondamentale della sua teoria è rappresentato proprio dal fatto che “gli esseri umani, essendo mammiferi, hanno bisogno degli altri mammiferi, degli altri esseri umani, con cui interagire per sopravvivere”.

Detto in altri termini: attraverso l’interazione reciproca abbiamo la capacità di regolare gli uni con gli altri il nostro stato fisiologico, creando in tal modo le condizioni per poterci sentire sicuri.

Come avviene tutto questo?

Anzitutto - sottolinea lo scienziato statunitense - occorre tener presente che la questione, prima ancora che psicologica, è fisiologica: il nostro sistema nervoso - egli dice - “brama le reciproche interazioni”, perché è proprio per mezzo di queste ultime che esso primariamente agisce per regolare il nostro stato fisiologico.

In quanto mammiferi - precisa Porges - quando il nostro organismo rileva una condizione di pericolo (su questo aspetto ritorneremo più avanti) mettiamo in atto delle strategie adattive che, a livello funzionale, rappresentano un riepilogo della nostra storia filogenetica.

Prima di procedere oltre nella descrizione di quest’ultimo aspetto, ritengo utile richiamare la tua attenzione su alcune caratteristiche generali del sistema nervoso simpatico e di quello parasimpatico e sul modo in cui essi vengono concettualizzati.

Questi due sistemi, il simpatico e quello parasimpatico (insieme a quello enterico) costituiscono il sistema nervoso autonomo.

Tale sistema è detto autonomo in quanto l’azione di controllo che esso esercita sui visceri, sulla muscolatura liscia, sul cuore e sulle ghiandole del nostro corpo si realizza indipendentemente dalla nostra volontà.

“Virtualmente” - scrive Porges - “in ogni testo di anatomia o fisiologia il sistema nervoso autonomo viene descritto come un sistema antagonistico appaiato costituito da due componenti in opposizione”.

La prima (quella simpatica) ha sull’organismo una funzione attivante ed è associata ai meccanismi di attacco/fuga.

La seconda (quella parasimpatica) riduce la mobilizzazione organismica ed è coinvolta nei processi di crescita e di recupero delle energie.

Da questa interazione di tipo antagonistico deriva una condizione di equilibrio dinamica.

Questo è il modo in cui classicamente vengono considerate le interazioni fra il simpatico e il parasimpatico.

Anziché leggere queste due componenti del sistema nervoso autonomo come due forze semplicemente contrapposte fra loro, la Teoria Polivagale considera il loro rapporto nei termini di una gerarchia di risposta.

Tutto ciò riconduce alla questione filogenetica che avevamo lasciato in sospeso. Vediamo meglio in che senso.

Pensare le due componenti in maniera antagonistica - scrive Porges - equivale a considerare il nostro sistema nervoso come dotato di un unico sistema di difesa (quello fondato sui meccanismi di attacco/fuga).

Esiste, però, anche un secondo sistema di difesa - prosegue lo scienziato statunitense - ed è quello mediato da un’antica via del sistema nervoso parasimpatico.

Questo secondo sistema di difesa agisce determinando una condizione di “spegnimento comportamentale e di dissociazione”.

Il punto è il seguente: sebbene i comportamenti di attacco/fuga siano funzionali di fronte al pericolo, essi non lo sono quando la possibilità di fuggire o di attaccare è preclusa; ecco perché l’evoluzione ci ha dotato di un secondo sistema di difesa.

Preciso che l’azione di quest’ultimo è totalmente involontaria: si tratta di una reazione biologica simile ad un riflesso, che per certi aspetti può ricordare “lo svenimento di un essere umano terrorizzato”.

L’immobilizzazione, la bradicardia e l’apnea associate a questa seconda reazione difensiva si osservano tipicamente nei rettili, ma sono riscontrabili facilmente anche nel comportamento di piccoli mammiferi come topi o criceti.

Ti faccio un esempio.

Ti è mai capitato di vedere un topolino catturato da un gatto?

Alle volte, per quanto apparentemente il topino possa sembrare morto, non appena il suo predatore lo poggia al suolo, questo, come resuscitato, alla velocità della luce tenta di darsela a gambe e, se gli riesce, si mette in salvo.

Ecco, questo meccanismo di difesa basato sulla risposta di spegnimento appena descritta (risposta che produce uno stato simile ad una morte apparente) è mediato proprio dal secondo sistema difensivo di cui stiamo parlando.

Questo antico sistema di difesa associato ai vertebrati evolutivamente precedenti a noi - scrive Porges - è incorporato all’interno del nostro sistema nervoso.

Occorrono, però, alcune precisazioni.

Mentre per i rettili e altri vertebrati tale meccanismo di azione si rivela particolarmente efficace ed è generalmente adattivo, non si può dire altrettanto riguardo ai mammiferi.

Per questi ultimi, infatti, tale spegnimento (sebbene sia utile in determinate situazioni) non è privo di rischi, ciò a causa della grande quantità di ossigeno di cui essi necessitano.

Nel corso della loro evoluzione, però, i mammiferi hanno visto comparire all’interno del proprio sistema nervoso autonomo una nuova componente, la quale - scrive Porges - funziona come un direttore d’orchestra capace di “coordinare le funzioni delle due componenti più primitive” (quella responsabile della risposta di spegnimento e quella responsabile dei comportamenti di attacco/fuga).

In questo senso, come già anticipato - prosegue Porges - è possibile affermare che le risposte del nostro sistema nervoso autonomo rappresentino un riepilogo della nostra storia filogenetica.

Giunti a questo punto, ulteriori precisazioni si rendono indispensabili, prima fra tutte quella che spiega il nome della teoria.

La maggior parte delle fibre nervose parasimpatiche viene proiettata lungo il nervo vago pluriramificato (da ciò il nome di Teoria Polivagale).

Il vago è un nervo cranico che origina nel tronco dell’encefalo.

Il nucleo essenziale della teoria è rappresentato dal fatto che gli studi di Porges hanno evidenziato nei mammiferi la presenza di due diversi circuiti vagali (ciascuno dei quali ha origine in differenti aree del tronco encefalico).

Quello filogeneticamente più antico (condiviso con i rettili) possiede vie non mielinizzate ed è responsabile della risposte di spegnimento di cui abbiamo parlato.

Il circuito filogeneticamente più recente (proprio dei mammiferi) possiede invece vie mielinizzate e - come si è detto - funziona da regolatore nei confronti delle componenti più antiche del sistema nervoso autonomo (quella simpatica e quella non mielinizzata).

Per poter comprendere come questa organizzazione gerarchica moduli le proprie risposte occorre far riferimento ad un altro con concetto della teoria, ossia la neurocezione.

Con questo termine Porges intende il processo neurale per mezzo del quale vengono valutate le condizioni di sicurezza nelle esperienze che stiamo vivendo (in tale processo sono coinvolte diverse aree dell’intero sistema nervoso).

Tale valutazione avviene senza che ne siamo consapevoli (e in ciò si distingue dalla percezione). Il suo funzionamento - dice Porges - è simile ad un riflesso.

A seguito della valutazione neurocettiva (che non sempre è precisa e risente delle nostre esperienze di vita) - prosegue lo scienziato statunitense - il sistema nervoso autonomo si viene a trovare in uno dei tre ampi stati che la teoria definisce sicurezza, pericolo e minaccia di vita.

A seconda dello stato in cui si viene a trovare - precisa Porges - il sistema nervoso autonomo agisce di conseguenza.

Qualora la neurocezione indichi la presenza di uno stato di sicurezza (o di pericolo entro limiti tollerabili) il circuito vagale mielinizzato provvederà a regolare le componenti più antiche attivando il nostro sistema di coinvolgimento sociale.

Quando questo avviene il nostro cuore batte più tranquillo, il nostro respiro si fa più profondo, sorridiamo se ci sorridono, mostriamo empatia se qualcuno ci rende partecipe delle proprie disgrazie o, a seconda della situazione, sperimentiamo una piacevole eccitazione.

Quest’ultimo aspetto è dovuto al fatto che il vago mielinizzato regola la mobilizzazione prodotta dal sistema nervoso simpatico in maniera tale da mantenerla in una forma non difensiva (in una forma cioè che non dia luogo a comportamenti con caratteristiche di attacco/fuga).

Quello che accade, in sostanza, è che coinvolgendoci socialmente con gli altri impariamo insieme a co-regolare i nostri stati fisiologici costruendo una base di sicurezza sulla quale possiamo edificare e/o fortificare i nostri legami di attaccamento.

In tutto questo processo giocano un ruolo fondamentali le interazioni faccia a faccia, le caratteristiche prosodiche della nostra voce e i gesti con i quali comunichiamo gli uni con gli altri.

Tutti questi elementi influiscono fortemente sul processo neurocettivo e sui suoi esiti; grazie a loro, infatti, riusciamo ad esprimere e riconoscere reciprocamente le nostre emozioni, le nostre intenzioni e i nostri bisogni.

L’esperienza del gioco, in particolare, rappresenta una preziosissima tipologia di interazione sociale, poiché - scrive Porges - esso “richiede la capacità di mobilizzarsi, attraverso il sistema nervoso simpatico, e poi di ridurre l’attività dell’eccitazione simpatica attraverso l’interazione sociale faccia a faccia e il sistema di coinvolgimento sociale”.

Attraverso il gioco (che a tutti gli effetti è un vero e proprio esercizio neurale) insieme agli altri - scrive Porges - impariamo a co-regolare il nostro stato fisiologico e le nostre risposte comportamentali.

Cosa succede invece quando ci troviamo di fronte ad una minaccia e il sistema di coinvolgimento sociale è impedito?

In questi casi prende il sopravvento il sistema nervoso simpatico, che mobilitando i muscoli, il cuore e i polmoni predispone un meccanismo difensivo basato sui comportamenti di attacco/fuga.

Qualora anche questa seconda linea difensiva venga meno e la neurocezione rilevi una condizione di pericolo di vita, prende il sopravvento il vago non mielinizzato, innescando una risposta di spegnimento o di collasso (spesso associata a forme di dissociazione).

Ti ricordo che si tratta di una risposta totalmente involontaria: è l’estrema difesa che il nostro organismo mette in atto quando la neurocezione segnala una condizione senza via di uscita (ciò accade nelle esperienza traumatiche più profonde).

Ricapitolando: per stare bene, abbiamo bisogno di sentirci al sicuro e, per sentirci al sicuro, abbiamo bisogno degli altri, in particolare dei nostri affetti, perché la loro vicinanza ci aiuta a regolare il nostro stato fisiologico.

Abbiamo bisogno di vedere i loro visi, abbiamo bisogno di sentire le loro voci, abbiamo bisogno di sentirli accessibili e raggiungibili.

Come hai potuto notare, il cuore pulsante della Teoria polivagale è rappresentato dal concetto di sicurezza.

Di quest’ultima, la teoria propone un suo modello neurofisiologico.

In tale modello viene enfatizzata una concezione di sicurezza definita non tanto dall’assenza o dalla rimozione della minaccia, quanto dall’esperienza personale del sentirsi al sicuro.

Nello specifico - secondo la teoria - affinché tale esperienza possa aver luogo devono darsi le seguenti condizioni.

Il sistema nervoso autonomo non può trovarsi in uno stato che supporti azioni difensive e il sistema di coinvolgimento sociale deve essere attivo.

L’attivazione di quest’ultimo - scrive Porges - è essenziale.

E infatti, da una parte, esso diminuisce l’attivazione della componente simpatica; dall’altra, contiene all’interno di un intervallo ottimale l’interazione fra il sistema nervoso simpatico e il circuito vagale non mielinizzato.

Questo secondo aspetto - continua lo scienziato statunitense - è particolarmente importante, poiché una simile condizione - egli dice - è di supporto alla salute, alla crescita e al recupero delle energie.

Viceversa - aggiunge - quando non ci sentiamo al sicuro, anche le nostre condizioni di salute ne risentono negativamente.

Il sistema di coinvolgimento sociale, infine, deve essere attivo anche per rilevare, attraverso la neurocezione, i vari indizi di sicurezza presenti nell’ambiente, quali, ad esempio, i gesti positivi, le espressioni facciali e le vocalizzazioni prosodiche di coloro che ci sono vicini.

Prima di salutarti, ti segnalo il testo da cui sono tratti i contenuti di questo articolo: Stephen Porges, La guida alla Teoria Polivagale.

Se hai piacere di approfondire l’argomento, ti segnalo anche un altro testo molto interessante che, se vuoi, puoi aggiungere al primo: Bessel Van der Kolk, Il corpo accusa il colpo.

Buona lettura!



Pubblicato il 02/02/2022 - Photo by Hannah Busing on Unsplash

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