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Errare è umano … perseverare “biologico” (I punti ciechi dell’autogiustificazione)



“Sbagliando si impara”, così si dice.

Il punto è che i candidati alle pubbliche (o private) ammissioni di colpa non sono poi così numerosi, e di conseguenza anche le possibilità di apprendimento si fanno più ristrette.

Non sempre si tratta di malafede, la verità è che spesso non ci rendiamo neanche conto di aver sbagliato, perché un potente meccanismo di autogiustificazione ci rende “ciechi” di fronte a determinate evidenze.

Questo meccanismo, che sembra avere una base biologica, preserva il nostro benessere emotivo, difende la nostra autostima (bassa o alta che sia) e tutela le nostre idee sul mondo.

Allora, parafrasando un noto proverbio, potremmo affermare che, in qualche maniera, se errare è umano … perseverare è “biologico”.

Nel corso di questo articolo ti spiegherò perché.

Nell’estate del 1954 Marian Keech (capo di una comunità apocalittica di ufologi) aveva preannunciato la fine del mondo per il 21 dicembre dello stesso anno, sottolineando che si sarebbero salvati solo coloro che avrebbero creduto alla sua rivelazione.

Come puoi facilmente renderti conto, la profezia non si realizzò.

Quale fu allora la reazione dei membri del gruppo?

Dopo quella notte la loro fiducia nella signora Keech divenne ancora più grande, perché, proprio quella notte, la donna ebbe una nuova “visione” nella quale le fu comunicato che la grande fede del suo gruppo aveva salvato il pianeta.

Sulla base di questi dati (raccolti tramite un’osservazione partecipante) e altri ancora ottenuti tramite apposite ricerche sperimentali Leon Festinger elaborò negli anni ’50 la sua Teoria della dissonanza cognitiva. Secondo questa teoria tutti noi siamo portati a ricercare con forza la coerenza fra noi stessi, il nostro modo di pensare e il nostro modo di agire. Quando ci troviamo di fronte a comportamenti o idee che ci riguardano e che sono fra loro in contraddizione percepiamo uno sgradevole stato di tensione dal quale vogliamo liberarci il prima possibile.

Come facciamo a liberarcene?

Secondo Fetsinger lo facciamo (per lo più inconsapevolmente) attraverso un potente meccanismo di autogiustificazione, che ci porta a convincerci di aver fatto o pensato la cosa migliore: facciamo tutto questo minimizzando i nostri errori o addirittura giustificandoli, mostrandoci ciechi di fronte a tutte le evidenze che attesterebbero il contrario.

Ti faccio un esempio.

Hai presente quando un accanito fumatore ti dice che non è vero che il fumo fa male, che suo nonno ha fumato come un dannato per tutta la vita ed è campato fino a novant’anni? Ecco: questo è un caso di dissonanza cognitiva in azione.

All’inizio di questo articolo ti ho parlato di una base biologica sottostante al processo di autogiustificazione: a questo proposito ti segnalo una ricerca condotta da un gruppo di neurologi inglesi riportata nel testo Mistakes Were Made (but Not by Me) di Tavris e Aronson.

Nella ricerca in questione i soggetti sperimentali, collegati a macchinari che esercitavano una leggera pressione sul loro indice, dovevano esercitare a loro volta la medesima pressione sul dito di un altro soggetto sperimentale.

Per quanto si sforzassero non riuscivano nel compito: la pressione che esercitavano sull’altra persona era sempre superiore a quella ricevuta.

Dall’esperimento emerse che il dolore percepito era sempre maggiore del dolore inflitto.

I ricercatori conclusero che questa escalation del dolore fosse un sottoprodotto naturale dell'elaborazione neurale.

Il processo di autogiustificazione è così forte da riuscire a modificare perfino i nostri ricordi, portandoci pian pian a credere sinceramente ad una storia mai accaduta, ma che ben si adatta con l’immagine che al momento presente abbiamo di noi stessi.

Se abbiamo fatto un acquisto importante e di fatto ciò che abbiamo acquistato non si è rivelato un grande affare, difficilmente saremo portati ad ammetterlo a noi stessi e agli altri; piuttosto cercheremo con grande impegno di dimostrare a tutti quanto ci abbiamo visto giusto, quanto ne è valsa la pena. Tutto ciò mette in evidenza due cose importanti: la prima è che gli esseri umani nei loro comportamenti non sono motivati esclusivamente da premi e punizioni; la seconda è che, qualora tu debba fare un acquisto importante, non è saggio chiedere consiglio solamente a chi ha già fatto quello stesso acquisto. Chiedi anche a chi non lo ha fatto e perché. Il processo di autogiustificazione di cui ti ho parlato è lo stesso processo che alimenta il bias della conferma.

Tutti noi ce ne andiamo in giro per il mondo filtrando le informazioni che riceviamo sulla base delle nostre convinzioni (con le quali peraltro tendiamo ad identificarci): se una nuova informazione concorda con ciò che già pensiamo tendiamo ad accettarla, viceversa, se non concorda tendiamo a rifiutarla o a ignorarla. Questi processi hanno una doppia valenza, una positiva e una negativa.

Da un lato ci aiutano, perché tutelando l’immagine che abbiamo di noi stessi ci rendono più facile “sopportare” le avversità della vita; dall’altro ci limitano, perché impedendoci di vedere i nostri errori non ci consentono di apprendere lezioni da quelli stessi.

Il meccanismo di autogiustificazione tutela dunque la nostra autostima, alta o bassa che sia. Questo come puoi bene capire non sempre è un vantaggio. Ti faccio un esempio.

Quando un uomo o una donna pensano che nessuno li amerà mai perché ritengono di essere privi di qualsiasi qualità, il giorno in cui qualcuno si interesserà realmente a loro, dopo un primo momento di felicità, è molto probabile che entrino in uno stato di dissonanza cognitiva: quell’esperienza non concorda con le loro credenze (come è possibile che qualcuno si interessi realmente a loro?).

Come ora sai, essi faranno di tutto per uscire da quello stato di tensione e non sempre faranno la cosa migliore: spesso saranno proprio loro a “intossicare” inconsapevolmente la loro relazione, così da renderla congrua con le loro credenze. Si dice che sbagliando si impari, ma la verità è che a nessuno piace sbagliare, e la società odierna certo non ci aiuta in questo senso (non tanto perché alimenti il senso di colpa, quanto perché facilita sempre più quello di inadeguatezza). Siamo dunque “condannati” alle regole del processo di autogiustificazione?

No! In qualche modo possiamo affrancarci, purché iniziamo a coltivare la pratica della consapevolezza. Ogni buon pilota d’auto sa che la sua visione posteriore ha un punto cieco e che se anche non la vede, una macchina potrebbe essere vicino a lui, in procinto di superarlo.

La consapevolezza della propria “cecità" lo porta a “cambiare prospettiva”, così da assicurarsi che la strada sia realmente libera.

Qualcosa di simile possiamo fare tutti noi alimentando la nostra consapevolezza e abituandoci a “confessare” i nostri errori quando sono piccoli, perché è molto più facile maneggiare la ghianda che maneggiare la quercia.


Pubblicato il 10/02/2020 - Photo by Annie Spratt on Unsplash


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