A proposito del processo terapeutico così scrive Sheldon Kopp nel suo Se incontri il Buddha per la strada uccidilo Il pellegrinaggio del paziente nella psicoterapia: “Forse il paziente riuscirà a conservare soltanto ciò cui è disposto a rinunciare”, arricchendolo - aggiungono io - con quanto egli è stato capace di sperimentare avventurandosi fra gli spazi ignoti della novità.
La frase di Sheldon Kopp ha a che fare (fra le altre cose) con i nostri automatismi, con tutti quei comportamenti (più o meno inconsapevoli) con i quali evitiamo il nuovo che si presenta nelle nostre vite, riproponendo al suo posto la stereotipia dell’antico, rivisitato in una continua variazione dell’identico.
Questo aspetto (l’incontro con la novità) è uno degli elementi fondanti anche nella Psicoterapia della Gestalt: senza novità infatti - precisano Fritz Perls, Ralph Hefferline e Paul Goodman (i padri fondatori di tale modello terapeutico) - non vi può essere contatto, vale a dire non può esserci un’esperienza che si possa definire tale, cioè un’esperienza in grado di donare a chi la vive vitalità e accrescimento.
A questo punto, forse, ti starai chiedendo:
Va bene, ma nello specifico cosa ha a che fare tutto questo con gli automatismi e con la frase di Sheldon Kopp?
A che cosa è che un paziente dovrebbe essere disposto a rinunciare per poter conservare ciò che non vorrebbe perdere, ed eventualmente arricchirlo?
Di quale automatismo stiamo parlando?
Stiamo parlando di quella tendenza (più o meno consapevole) che ci spinge (chi più chi meno) a rimanere nelle zone conosciute della nostra esperienza, anche quando questa è dolorosa, con la speranza di conservare quel poco di sicurezza (se così si può definire) data dal fatto che già conosciamo quello che stiamo vivendo.
Avventurarsi nel nuovo significa avventurarsi nell’ignoto, significa esporsi potenzialmente al rischio di perdere anche quel tanto di sicurezza (poca o molta che sia) data dalla conoscenza della situazione.
Alle volte questo non è semplicissimo da fare, ciò nonostante, solo quando siamo disposti a perdere qualcosa possiamo davvero ottenerla.
Poiché - come si dice - un’immagine vale più di mille parole, riporto quella proposta dallo stesso Sheldon Kopp.
Possiamo bere l’acqua fresca di una fonte usando le mani - egli dice - solo quando queste sono aperte a formare una coppa.
Non possiamo portare alla bocca quell’acqua fresca se le nostre mani sono strette a pugno.
Non importa quanto grande sia la nostra arsura: stringendo non otterremo nulla, stringendo perderemo la possibilità di soddisfare la nostra sete.
Nella vita di ogni giorno la tendenza che ci tiene attaccati al noto (anche quando questo è spiacevole) è quella tendenza che - lo abbiamo detto - agisce con l’intento di farci conservare qualcosa che per noi è importante.
Paradossalmente - nonostante le buone intenzioni - tutto ciò, alle volte, può rivelarsi controproducente e così, proprio non volendo perdere qualcosa, finiamo per farlo.
Al contrario, quando corriamo il rischio della rinuncia (per come la abbiamo qui definita) attraversando territori in parte inesplorati, possiamo inaspettatamente incontrare quella novità grazie alla quale scopriamo non solo di non aver perso ciò che temevamo di perdere, ma di averlo anzi arricchito.
Il primo passo in questo cammino esplorativo è anzitutto prendere consapevolezza di queste tendenze.
Riconoscerle (soprattutto quando sono diventate automatiche) non sempre è facile, perché tendiamo a non accorgercene; ecco perché è importante esercitarci ed imparare a farlo.
Ma soprattutto, più di ogni cosa, è essenziale imparare a farlo con compassione, senza critica, senza giudizio, ma anzi abbracciando quella parte di noi che in quel momento (a suo modo) cerca di fare qualcosa di buono per noi.
A questo proposito - per concludere - attingendo ancora una volta al testo di Sheldon Kopp, riporto un’antica storia zen.
Tre giovani allievi in cerca di illuminazione vanno da un maestro zen, il quale dice loro che per ottenere quello che cercano devono passare un certo periodo di tempo nel più assoluto silenzio.
Immediatamente il primo esclama: “Non dirò nulla”.
“Che idiota! Perché hai parlato?”, aggiunge il secondo.
“Ecco, sono l’unico che non ha parlato!”, conclude il terzo.
Abbiamo molto da camminare, tutti noi.
Possiamo avere compagni di viaggio in questo cammino, ma solo noi possiamo fare il nostro viaggio.
Pubblicato il 22/03/2022 - Photo by Tim Foster on Unsplash
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