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L’esperienza della paura in una prospettiva olistica e relazionale



Fra le emozioni che più hanno segnato le persone da un anno a questa parte spicca senz’altro la paura (del contagio, della morte, della perdita).

La Psicoterapia della Gestalt considera questa emozione (così come tutte le altre) non come qualcosa di intrapsichico, cioè come qualcosa che riguarda esclusivamente la persona che la sta sperimentando, ma come un fenomeno che coinvolge tanto l’organismo quanto l’ambiente.

All’interno di una visione olistica e relazionale, quale è quella della Psicoterapia della Gestalt, pensare ad un organismo indipendentemente dall’ambiente nel quale esso è inserito è un non senso, poiché nella realtà nessun ente è irrelato e nessun organismo è autosufficiente; pertanto, all’interno di questa visione, ogni separazione fra i due elementi (organismo e ambiente) deve essere considerata puramente artificiale e poco utile alla comprensione di ciò che si osserva.

Per la Psicoterapia della Gestalt ogni esperienza (compresa quella della paura) avviene al confine di contatto fra l’organismo e l’ambiente, là dove i due elementi si incontrano (sebbene non è detto che sempre si trovino, e ciò incide sulla qualità dell’esperienza in atto).

Tieni conto che, all’interno di questa prospettiva, per ambiente non si intende esclusivamente l’ambiente naturale; ambiente è tutto ciò che sta fuori di noi: ambiente sono sia le condizioni materiali nelle quali viviamo, sia le relazioni sociali e affettive che costituiscono il nostro mondo e le nostre appartenenze.

Torniamo dunque all’esperienza della paura e ai vissuti che stanno drammaticamente caratterizzando questo periodo della storia umana.

Nel parlarti di questi temi farò riferimento a quanto scrive Gianni Francesetti in Attacchi di Panico e Postmodernità a proposito della paura.

Noterai che, in riferimento alle medesime situazioni, al variare della modalità interpretativa (cioè al variare della maniera in cui lo stesso evento viene “letto”), si accompagnano variazioni nelle modalità di intervento.

All’interno di una prospettiva olistica e relazionale quale è quella della Psicoterapia della Gestalt - scrive Francesetti - non si può dire: “Questo bambino ha paura”.

La frase - egli dice - va riformulata in questi termini: “Questo bambino in questa situazione e con il sostegno di cui può disporre sente paura”.

Come puoi notare questa affermazione tiene conto sia dell’organismo che del suo ambiente.

All’interno di questa cornice interpretativa il fenomeno della paura è dunque collegato alla mancanza di un adeguato sostegno ambientale.

Questo modo di “leggere” il fenomeno ha evidentemente delle ripercussioni sul modo di rapportarsi al fenomeno stesso.

Quando un bambino ha paura - prosegue Francesetti - dovremmo evitare di fare due cose: chiederci come fargli passare la paura e (cosa ancora più sconsigliata) dirgli che non deve avere paura.

Per inciso, prima di proseguire, ti invito a notare come, in entrambi i casi, se facessimo queste due cose, staremmo considerando il bambino/organismo in una maniera artificialmente separata dal suo ambiente.

Nel primo caso questo accadrebbe perché non staremmo ascoltando i suoi bisogni.

Nel secondo caso perché staremmo affermando che le sue esperienze devono realizzarsi indipendentemente da quello che è il suo rapporto con l’ambiente.

Quali alternative abbiamo?

In una prospettiva olistica e relazionale - precisa Francesetti - dovremmo, in primo luogo, comprendere di quale sostegno il bambino abbia bisogno da parte dell’ambiente per far fronte alla paura che sente in quella data situazione; in secondo luogo, dovremmo scoprire come aiutarlo a far suo quel sostegno che gli stiamo offrendo.

Credo che possa essere utile, soprattutto in questo momento storico, trasporre le considerazioni che Francesetti fa a livello individuale (la paura del bambino) collocandole ad un livello sociale (la paura della gente).

Ritengo che questo tipo di operazione possa essere una risorsa in più nella predisposizione delle varie azioni che si stanno mettendo in essere per far fronte alla situazione che stiamo vivendo.


Procediamo dunque a questa trasposizione argomentativa.

All’interno della medesima cornice interpretativa, per le identiche ragioni sopra esposte, così come non possiamo dire “Questo bambino ha paura”, allo stesso modo non possiamo dire “La gente ha paura”.

Quello che dovremmo dire è: “La gente in questa situazione e con il sostegno di cui può disporre sente paura”.


Anche in questo caso (a livello sociale), esplicitiamo, per la medesima situazione, le differenze fra i due tipi di lettura messi a confronto.


Possiamo considerare la società o le comunità artificialmente separate dal loro ambiente (le Istituzioni, ad esempio), oppure possiamo considerare i due elementi (organismo e ambiente) uniti insieme. Ancora una volta, a “letture” differenti, si accompagnano interventi differenti.


Nel primo caso avremo un’azione ambientale maggiormente caratterizzata da una carenza nell’ascolto e da un mancato riconoscimento di alcuni bisogni dei cittadini. Questo è il caso in cui l’ambiente sa (o ritiene di sapere) cosa è bene per l’organismo e si comporta di conseguenza, senza indagare oltre.


Nel secondo caso, muovendoci all’interno di una prospettiva olistica e relazionale, saremo portati a considerare il tipo di esperienza che l’organismo sta vivendo come dipendente (in parte) dal tipo di sostegno che quest’ultimo riceve o non riceve dal suo ambiente.


La paura, come ogni altra emozione, ha un valore adattivo: la sua funzione è quella di metterci in guardia di fronte al pericolo.

Se non provassimo paura non potremmo metterci in salvo regolando in maniera adeguata il nostro comportamento.

Al tempo stesso, quando questa emozione è costante e supera un certo livello, può bloccarci, può renderci difficile pensare, può minare le nostre capacità di adattamento.


Alle volte la vita ci pone di fronte a pericoli che non possiamo eliminare né controllare completamente (cosa drammaticamente evidente in questo ultimo anno). Soprattutto in queste situazioni, il modo in cui gestiamo la paura fa la differenza e, come abbiamo visto, il modo di gestirla cambia a seconda di come guardiamo alle cose, perché a “letture” differenti si accompagnano azioni differenti.


Concludo queste riflessioni facendo riferimento ancora una volta a Francesetti.

Sempre in Attacchi di panico e Postmodernità egli mette in evidenza il valore imprescindibile dell’intenzionalità con la quale ogni organismo si muove nel proprio ambiente.

L’intenzionalità rappresenta la spontaneità, la vitalità e l’orientamento alla vita che caratterizza la vita stessa nel suo perpetuarsi.

All’interno della Psicoterapia della Gestalt essa rappresenta quell’elemento imprescindibile a cui il sostegno ambientale deve essere necessariamente collegato.


La gestione della paura ha certamente a che fare con il passato e con il presente, ma non può tralasciare il futuro, perché la dimensione della progettualità, insieme alla consapevolezza del presente e alla continuità delle nostre appartenenze passate, costituisce l’unico terreno sul quale possiamo continuare a camminare, facendo un passo dopo l’altro, sentendoci vivi (nel senso più ampio del termine) e riconoscendoci tali.


Pubblicato il 21/04/2021 - Photo by Tim Trad on Unsplash

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