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muoniguido

L'Io e l'Altro



“Così ostinatamente contraddittorio è l’uomo: per il suo bene non vuole coercizione, per il suo danno sopporta ogni costrizione”.

Questa frase di Goethe è un bellissimo esempio di come, a seconda della maniera in cui le cose vengono dette, persone differenti, con idee opposte riguardo a determinati argomenti, possono sentirsi confermate nelle proprie opposte posizioni facendo riferimento tutte alla medesima frase o alle medesime parole.

Da ciò possono derivare forti opposizioni e grandi sofferenze, le quali, talvolta, arrivano ad incrinare la relazione delle persone coinvolte.

In simili situazioni, così come insegna l’antica filosofia greca, è di vitale importanza esplicitare l’implicito, definire concretamente i propri pensieri e accordarsi preliminarmente su di una definizione comune dell’oggetto preso in esame.

Fatto questo sarà poi più agevole (e più utile) valutare insieme eventuali accordi o disaccordi riguardo all’oggetto considerato.

Per ritornare alla frase di Goethe, ad esempio, sarebbe opportuno che le persone coinvolte in questo ipotetico confronto esplicitassero preliminarmente cosa esse intendano per bene e cosa esse intendano per danno.

A seguire, sulla base della comune definizione raggiunta, sarebbe altrettanto opportuno che le stesse persone esplicitassero in che maniera esse concretamente riconoscono il proprio bene e il proprio danno nelle proprie vite.

Tutto ciò evidentemente non garantisce che si arrivi a pensarla alla stessa maniera; né, d’altra parte, questo è l’obiettivo della modalità comunicativa appena descritta.

L’obiettivo è un altro: porsi gli uni con gli altri nel modo appena indicato ha lo scopo di favorire un incontro reale fra le persone.

Questo tipo di incontro (quello reale) è l’unico nel quale è possibile sperimentare una qualche forma di novità, di vitalità e di accrescimento.

In effetti, è proprio la presenza di questi tre elementi a rendere l’incontro reale, poiché tutti e tre si fondano sull’effettivo riconoscimento dell’altro.

L’alternativa è incontrarsi o scontrarsi con quello che ciascuno ritiene che l’altro stia pensando o sentendo; in sostanza, in questo caso, l’incontro avviene con una parte di sé proiettata sull’altro (mentre quest’ultimo non viene realmente visto).

La modalità comunicativa sopra descritta non è evidentemente l’unico modo nel quale possiamo sperimentare la pienezza di un incontro reale, ma, in quanto esseri umani, innegabilmente la parola ha per noi un valore fondamentale.

E infatti, possiamo riconoscere un’intima connessione fra parola, corpo ed emozione, in un flusso che va dall’interno all’esterno di noi, e viceversa.

Vivere un incontro reale può, a volte, non essere semplice, ma qui non ci stiamo occupando della sua semplicità; qui stiamo considerando quanto il vedere l’altro sia essenziale affinché possiamo vivere un incontro reale, vale a dire, un incontro che sia occasione di crescita per noi e per il nostro interlocutore.

"La grande difficoltà nelle riflessioni psicologiche” - per dirla ancora con Goethe - “è che l’interno e l’esterno si devono sempre considerare parallelamente o piuttosto nel loro intreccio. È sempre sistole e diastole, inspirazione ed espirazione dell’essere vivente. Anche se non lo si può spiegare, si osservi ciò attentamente e vi si badi bene”.

Gli effetti della cura o dell’incuria che, nello specifico, riserviamo alle parole sono ben visibili nelle relazioni umane e nel vivere sociale.

Nei rapporti di coppia, ad esempio, spesso si dà poca importanza alla scelta e al significato delle parole che si usano.

Si potrebbe dire che, alle volte, alla base di questa scarsa cura della parola sia possibile individuare due differenti logiche sottostanti.

In un caso, quando i due si amano, varrebbe quella secondo la quale Tanto c’è l’amore che sistema tutto!

Nell’altro, quando l’amore è finito, varrebbe la seguente: “Tanto l’amore non c’è più, chi se ne importa!”.

In entrambi i casi, in quei momenti, l’altro è poco considerato, non lo si sta vedendo completamente.

Mentre nel momento dell’amore l’importanza di vedere l’altro è più facilmente intuibile, non lo è, forse, altrettanto nel momento in cui l’amore finisce.

Ciò nonostante, la cosa ha la sua importanza: il modo in cui avviene il ritiro da un’esperienza (qui nello specifico il modo in cui si scelgono le parole per concludere e per descrivere l’esperienza che finisce) contribuisce a definire il modo in cui quell’esperienza diventa parte della storia personale dei soggetti coinvolti e il modo in cui essa li orienta verso il futuro.

Nel bene e nel male l’altro (quando lo vediamo) ci dice qualcosa di noi.

Questo qualcosa lo possiamo riconoscere e con ciò farne tesoro, oppure lo possiamo ignorare, insieme all’altro che ci offre questa occasione.

Se hai piacere di approfondire questo tipo di argomenti, ti segnalo un altro articolo che trovi qui sul blog: Conta cosa dici, ma conta di più come lo dici (non pensare all’elefante).

Le citazioni di Goethe, invece, le puoi trovare qui: Johann Wolfgang Goethe, Massime e riflessioni, a cura di di Sossio Giametta

Con questo ti saluto e ti auguro buona lettura (qualora tu decida di procedere in tal senso).


Pubblicato il 03/12/2021 - Photo by Marc-Olivier Jodoin on Unsplash

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