Senza amore non ci sarebbe lutto, dice Carmen Vasquez Bandin (terapeuta della Gestalt), e aggiunge: la polarità opposta alla morte non è la vita, ma l’amore.
Trovo questa frase non solo molto bella, ma anche salvifica (in un certo senso), perché nella sua bellezza fatta anche di delicata speranza è in grado di indicare la via che conduce all’elaborazione di un lutto, potendo con ciò essere balsamo benevolo per quel dolore che tocca le profondità dell’anima e che arriva a volte perfino a sconvolgere il sentire dei corpi.
Elaborare un lutto - scrive Gianni Francesetti (un altro terapeuta della Gestalt) - significa riuscire a vivere una doppia fedeltà: una fedeltà alla persona che non c’è più e una fedeltà alla vita che continua.
All’inizio, per chi rimane, può essere davvero difficile riuscire a combinare queste due cose.
Riuscire a sentire qualcosa che sia altro da una terribile mancanza per alcuni può sembrare addirittura quasi impossibile.
In modo molto pregnante Francesetti descrive questa dolorosa condizione di irraggiungibilità dell’altro come la presenza dell’assenza.
Con il tempo però - scrive ancora Francesetti - chi rimane “impara a portare con sé chi è perduto maturando una capacità di esser-con e una fedeltà nuova”; e aggiunge: “c’è qualcosa di miracoloso quando questo processo avviene in piena consapevolezza perché si assiste gradualmente alla trasformazione dell’assenza in nuova presenza e del dolore in nuovo amore”.
Ecco - per tornare alla frase di Vasquez Bandin da cui siamo partiti - io credo che questa nuova assimilazione dell’altro dentro di noi, questa trasformazione dell’assenza in una presenza o - per usare le parole di Francesetti - questo riuscire a percepire dell’altro la presenza nell’assenza sia intimamente e beneficamente connesso con l’amore.
Non si tratta semplicemente di vivere, ma di vivere con amore il lascito esistenziale che l’altro ci ha donato.
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