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Se qualcosa non è anche “giusta” … non è “buona”: le dinamiche del pensiero relazionale



Negoziare con qualcuno (e soprattutto farlo bene) richiede che vengano tenuti bene in considerazione due elementi contemporaneamente: la ragione e l’emozione.

Pensare di poter stringere un buon accordo (o un accordo tout court) facendo affidamento esclusivamente sugli aspetti razionali che ne giustificherebbero l’accettazione da ambo le parti è un’idea che (alle volte) può rivelarsi catastrofica.

A questo proposito ti riporto un esperimento che Chris Voss (ex negoziatore capo dell’FBI specializzato nelle trattative per la liberazione degli ostaggi) è solito proporre ai suoi studenti nei suoi corsi di negoziazione.

Si tratta di quello che lui chiama Il gioco dell’ultimatum.

L’esperimento si svolge come segue.

I partecipanti sono divisi in due gruppi.

A ciascun componente di un gruppo sono affidati dieci dollari, con il compito di offrire quanto riterrà più opportuno ad un componente dell’altro gruppo, il quale, a sua volta, potrà decidere se accettare o rifiutare l’offerta.

Nel caso in cui l’offerta venga accettata, lo studente che ha dato il danaro terrà per sé l’importo rimanente mentre lo studente che ha ricevuto la donazione terrà per sé quanto gli è stato dato.

Qualora l’offerta venga rifiutata, i dieci dollari torneranno tutti nelle tasche di Voss, ed entrambi gli studenti avranno perso l’occasione di guadagnare qualche dollaro.


Se ti stai chiedendo qual è l’andamento di questo esperimento, ti dico subito che, per la maggior parte delle volte, Voss recupera tutti i suoi denari.

Gli studenti - sottolinea Voss - in genere non si capacitano di come possano aver “perso” questo guadagno piovuto dal cielo: tutti loro sono convinti di aver fatto una scelta razionale (tanto chi offriva quanto chi accettava o rifiutava l’offerta).

Ma allora come è possibile che siano rimasti quasi tutti a bocca asciutta?

La verità - sottolinea ancora Voss - è che, contrariamente a quanto essi ritenevano di aver fatto, le scelte degli studenti non erano state scelte razionali (forse sarebbe più corretto dire che non erano state scelte puramente razionali).

In particolare - precisa - nessuno degli offerenti aveva fatto quella che sarebbe stata la scelta più razionale di tutte (per chi offriva) e al tempo stesso logicamente non rifiutabile per chi riceveva.

La scelta più razionale data la situazione - egli dice - sarebbe stata quello di offrire un dollaro: questo, infatti, avrebbe massimizzato il guadagno per chi offriva e garantito al contempo una rendita inattesa per chi accettava (un dollaro, per quanto minimo, è pur sempre un guadagno rispetto a zero dollari).

Cosa è che aveva impedito agli offerenti di fare questa scelta e ai riceventi di accettare la maggior parte delle offerte ricevute?

L’emozione lo aveva impedito, in particolare il sentimento di subire o di commettere un’ingiustizia, il non sentirsi adeguatamente rispettati o il sentire di non rispettare adeguatamente gli altri.


Anche quando pensiamo che l’emozione non sia presente nei ragionamenti che facciamo essa è sempre sottotraccia.

Non solo: per lo più, prima reagiamo emotivamente ad una informazione, poi razionalmente cerchiamo di dare una veste logica alle nostre decisioni.

È stato così per gli studenti di Voss e capita così anche a noi quando, per esempio, facciamo quell’acquisto che ci piace tanto e poi “giustifichiamo” razionalmente la nostra scelta evidenziando tutti i validi motivi per i quali quella scelta andava proprio fatta.

Pertanto, come dicevamo all’inizio, se vogliamo stringere un buon accordo, è necessario tenere ben presente entrambi gli aspetti: ragione ed emozione.


In realtà questo collegamento non vale semplicemente quando si tratta di stringere buoni accordi o di fare una buona contrattazione.

La verità è che se non ci fosse l’apporto dell’emozione la nostra stessa capacità razionale e decisionale sarebbe minata.

L’emozione orienta il nostro pensiero (segnalandoci cosa è importante per noi) e in collaborazione con la ragione ci mette in condizioni di poter agire opportunamente verso un fine.


Se hai piacere di approfondire l’argomento, ti segnalo questo testo di Antonio Damasio: L’errore di Cartesio.

Qui il neuroscienziato portoghese illustra le connessioni fra gli aspetti emotivi, corporei e razionali implicate nei processi di pensiero e nelle attività decisionali.


Senza emozioni non possiamo pensare bene.

Allo stesso tempo, se le emozioni sono troppo intense (pensa, ad esempio, ad uno stato di ansia acuta) le nostre capacità razionali sono ostacolate.

Fra ragione ed emozione vi è dunque un rapporto costante, sebbene il suo equilibrio sia mutevole.


Chi sa muovere le emozioni, chi sa toccarle opportunamente, ha un forte impatto anche sui pensieri di chi quelle emozioni le sta provando (indipendentemente dal fatto che questo ne abbia consapevolezza o meno).

Ultimo aspetto: quando pensiamo, lo facciamo mettendo in relazione gli oggetti dei nostri pensieri, lo facciamo inserendo gli elementi in categorie, lo facciamo paragonando fra loro le cose che stiamo pensando.


A seconda del termine di paragone che utilizziamo, variano i nostri vissuti e di conseguenza anche i nostri pensieri.

Ancora una volta, chi ha la capacità di orientare e selezionare i nostri termini di paragone ha a disposizione una grande leva per agire sulle nostre emozioni e dunque sui nostri pensieri.

Tieni presente, inoltre, che siamo maggiormente motivati dalla paura di perdere qualcosa (viene chiamata avversione alla perdita) che dalla possibilità di realizzare un guadagno (qualunque sia la sua natura).


Siamo esseri sociali e il nostro pensiero potrebbe, forse, essere definito come un pensiero relazionale, non solo perché per pensare, come si è detto, mettiamo in relazione fra loro gli oggetti che stiamo pensando, ma anche perché tutti noi, quando pensiamo, lo facciamo inseriti all’interno di una trama relazionale caratterizzata da una personale storia affettiva.


All’interno di questa trama relazionale ciascuno di noi (più o meno consapevolmente) definisce la natura sostanziale o procedurale degli oggetti del proprio pensiero.

Questi due aspetti (quello sostanziale e quello procedurale) per certi versi sembrerebbero richiamarsi in maniera circolare.

In questo senso, facendo riferimento ai vissuti che ciascuno di noi sperimenta nelle proprie esperienze di vita, sotto un certo punto di vista, potremmo dire che (per ogni qui e ora che prendiamo in considerazione) una cosa se non è anche giusta, non è buona.


Quest’ultimo aspetto sembra valere non solo per l’uomo.

A questo proposito, ti lascio il link ad un video in cui puoi osservare un esperimento fatto con due scimmiette.

Il comportamento di una delle due sembra essere perfettamente in linea con quanto fin qui esposto.

Buona visione!


Pubblicato il 21/01/2022 - Photo by Tengyart on Unsplash

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